Pensieri e Opinioni

Società, allenatore, squadra: il Milan che vorrei, il Milan che vorremmo – di Luca Serafini

Siamo il Milan. Un concetto semplice, ma molto ricco. Diretto. Il dogma della tifoseria rossonera. Milan significa uno dei club più antichi d’Italia, il più titolato al mondo dopo il Real Madrid. Un club e una squadra vincenti.

Siamo il Milan, i ricordi sono la storia. Viziata, cullata, gloriosa negli anni ’60 (e non solo), poi esaltata dall’epopea Berlusconi, la più gloriosa di sempre, la più opulenta del mondo. Finì con un lento, graduale distacco, perché il presidente fu assorbito dalla politica e perché qualcuno in “Forza Italia” (alla fine del primo decennio del Duemila) stava convincendolo che un club perdente suscitasse più simpatie nell’elettorato neutro. Vacillò, ma si convinse alla fine che si trattasse di una baggianata e arrivò così la faraonica campagna acquisti 2010-2011 con annesso l’ultimo scudetto di quell’era trionfale.

Era la società della comunicazione, Fininvest: Berlusconi aveva televisioni e giornali, Galliani capiva l’importanza di trasmettere. Il botta e risposta con i tifosi e i media non era quotidiano, ma quasi. Galliani parlava di progetti, di campagna acquisti, di rinnovi, di formazioni, di allenatori, alla viglia, nei dopo partita. A questo siamo abituati, a questo eravamo abituati.

Sappiamo cos’è successo dal 2017. Il Milan è passato di mano, è proprietà straniera come il 27% dei maggiori club professionistici in Italia. Al tifoso non interessa che queste proprietà abbiano – mediamente – una gestione più sana di quelle italiane, le quali allegramente navigano tra falsi in bilancio, fidejussioni farlocche, debiti, sperperi, fallimenti. Persino i tamponi, hanno falsificato nel 2020. I tifosi vogliono i risultati, come del resto le aziende. Anche le aziende vogliono i risultati, per strade diverse. Delle finanze si occupino commercialisti e contabili, al tifoso interessa la parte sportiva che comprende comunicazione e peso politico.

Il peso politico purtroppo al Milan è una carenza che dura da una vita: non bastarono Rizzoli, Carraro e nemmeno Berlusconi a colmare (in città e non solo) vuoti che hanno portato, per esempio, all’intitolazione dello stadio di San Siro a un campione dell’Inter (348 partite e 240 gol) che poi passò al Milan dove giocò solo 37 partite segnando 9 reti… Che hanno portato, per esempio, all’intitolazione del piazzale dello stadio San Siro “Giuseppe Meazza” ad Angelo Moratti, mentre il Milan ha dedicato al suo fondatore Herbert Kilpin la rotatoria (sì, la rotatoria) antistante Casa Milan, dove non ci si può fermare nemmeno per parcheggiare. Potrei andare avanti a lungo, finendo con Ceferin e Gravina e il presidente del Senato alle recenti feste nerazzurre… Non è storia solo di oggi, come insegnano anche i fatti del 2006.

Oggi si rimproverano al Milan, dopo lo scudetto del 2022 cui non ha più fatto seguito il minimo avvicinamento ad alcun trofeo (con una semifinale di Champions e un secondo posto spazzati via dalle troppe delusioni), una serie di mancanze che riguardano: 1) la rappresentanza (e rappresentatività) nelle stanze dei bottoni; 2) una comunicazione appunto, assidua e incisiva, su temi che riguardino filosofia, strategia, scelte; 3) il ruolo di Ibrahimovic; 4) eccessiva parsimonia sul mercato. Sono solo i punti principali, perché su altri argomenti come peso politico, Maldini, storia che non viene “pesata”, sono pieni social, i media. Sono fatti, non opinioni. Non c’è tifoso che non possa condividerli, compreso il sottoscritto.

Mi interrogo – come tutti – su questi punti, sulle fondamenta del malumore esteso nella tifoseria. La Curva Sud ha scelto la strada del silenzio, in attesa dei fatti più che delle parole. E’ quello che farei anche io, non fossi anche giornalista e opinionista. Quindi prendo atto che l’assenza a Palazzo sia più di una sensazione. Prendo atto che in realtà non è con RedBird, ma con Elliott che è iniziata l’era del silenzio: i manager inglesi e americani dei Fondi preferiscono lavorare sottotraccia. Parla (molto) Marotta tra cinesi evaporati e americani appena giunti, e Commisso impegnato in prima persona. Però anche a Roma, Como, Parma, Bologna, Venezia, Ferrara parlano molto poco. Bella differenza tra il Milan e le altre, certo, ma le proprietà sono comunque straniere e quel modo di fare hanno, o non hanno. Il messaggio a Casa Milan è comunque arrivato, continua ad arrivare. Non so se, come e quando cambierà la rotta.

Sul ruolo di Ibra mi sono già espresso: è un “consulente”, viene consultato (per definizione). Da Gerry Cardinale, per Milan e per RedBird. Cosa decida, cosa consigli, cosa indichi, non lo so. Un ruolo che non lo soddisfa? Dipende. Non so se gli sia stato chiesto di fare apprendistato per poi diventare direttore, CEO, presidente…, oppure di restare “consulente” a vita. Mi aspetterei qualche sua dichiarazione? Sì. Non so se stia aspettando il momento in cui ci sarà qualcosa da dire, la presentazione dell’allenatore forse, o qualche altra occasione.

La parsimonia nel calciomercato, onestamente – per soldi spesi e giocatori presi in questi anni – non la vedo. La differenza è che il Milan paga cash, tutti e subito, senza rate e senza debiti. Rimango convinto che chi acquista e gestisce il Milan sappia molto bene che i risultati sono fondamentali, non solo per l’amore della gente, ma anche per i bilanci e le finanze. E non parlo di quarto posto, ovviamente.

Mi aspettavo un altro profilo di allenatore? Speravo in Conte, dico la verità. Thiago Motta mi pareva anche lui una buona prospettiva, sia pure con un profilo e un progetto totalmente diverso da Antonio. De Zerbi? Intrigante suggestione, milanista vero con Andrea Maldera, Sarà Fonseca? Per uno strano destino, sarebbe uno degli allenatori più titolati ingaggiati dal Milan nel dopo Liedholm: non avevano vinto infatti Sacchi, Capello, Zaccheroni, Ancelotti, Allegri per non parlare di quello che è successo dal 2014 e con lo stesso traghettatore Pioli. Al tifoso non basta: le 2 stagioni di Roma pesano più del buon lavoro fatto in Portogallo, Ucraina e in Francia con un club minore. E’ il profilo giusto? Per quale obiettivo, con quale filosofia? Sarà spiegato il giorno della sua presentazione, e ancora quel giorno comunque bisognerà aspettare di sapere che squadra gli verrà messa a disposizione. Attendo, come tutti, cercando equilibrio, raccogliendo pensieri e opinioni. Accettandole o discutendole con educazione, rispetto, come mi piacerebbe avvenisse per le mie.

Nel frattempo, rifletto. E’ uno strano Paese, questo: toglie i crocifissi dalle aule e Dante dalle materie scolastiche per non urtare la suscettibilità degli ospiti stranieri, ma poi pretende che gli algidi, freddi Fondi di investimento stranieri gestiscano il calcio rispettando al dettaglio storia e tradizioni del nostro Paese. Sarei pure d’accordo con la seconda parte, ci mancherebbe, ma la cultura e l’arte pensavo venissero prima o per lo meno allo stesso tempo. Mi sbagliavo. Prendo atto anche di questo.

 

https://www.milannews.it/editoriale/societa-allenatore-squadra-il-milan-che-vorrei-il-milan-che-vorremmo-538018

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