
Commosso scrivo bentornato, mio Milan – di Alessio Bosco
Finalmente posso scriverlo. Lo desideravo da parecchio tempo, ma il campo non me lo ha permesso. Ed ho atteso anche queste prime partite di campionato, perché prima di espormi voglio essere il più sicuro possibile. Ma finalmente mi sento fiducioso nel digitare “bentornato, mio Milan”.
I rossoneri battono 2-1 il Napoli a San Siro e balzano in testa alla classifica. Una vittoria che non porta a Milanello solo altri tre punti, ma che per me rappresenta una vera dichiarazione d’intenti: attenzione, il Milan è tornato. Lo ha fatto con prestazioni convincenti, con partite gagliarde, con una crescita costante ed oggettiva di svariati giocatori. Il Milan è tornato, e in un sottile “gioco filosofico” deve continuare a farlo, inserendosi in un eterno ritorno dove ogni partita è storia a sé, ogni partita è una finale.
Ma perché il Milan è tornato? In realtà, fra le righe, vi leggo molteplici fattori. In primis adesso abbiamo un allenatore, un vero allenatore. Tanto bistrattato nel momento dell’annuncio, Max Allegri sta dimostrando tutto il suo valore. Gran motivatore, ottimo tattico, ha cucito sui suoi ragazzi un vestito di prim’ordine: quel 3-5-2 a cui era già arrivato Conceição, ma che con Allegri e questi interpreti è la strada tecnico/tattica apparentemente più giusta. Il mister si fa notare anche in conferenza stampa: pochi concetti, risposte concise e sicure che generano collante nelle intenzioni e nei propositi. “Al Milan vincere dev’essere la normalità, la sconfitta l’eccezione” è un mantra da ricordare tutti.
Poi abbiamo la società. L’arrivo di Tare esclude qualsiasi imbarazzo su chi è il direttore sportivo. Adesso c’è, è lui, ed insieme a Furlani, Ibra, Scaroni, Cardinale e – forse – Galliani, la struttura societaria è ben presente ed è solida. Speriamo si risolva definitivamente la questione stadio: via il dente, via il dolore.
Continuiamo con la rosa, che non solo è di qualità ma che trovo, adesso, piuttosto seria. Modric è il centrocampista totale: pennella, disegna, crea geometrie, sradica palloni come il miglior Gattuso. Rabiot è quel tipo di calciatore che mancava al Milan, alto, forte, sul pezzo. Fofana sembra rinato, e l’assist a Pulisic per il gol contro il Napoli – un tocchettino poco appariscente ma eccezionale – è segno di grande lucidità. La difesa non balla più, è vigile, attenta. Gabbia è sinonimo di affidabilità, Tomori sembra rinato, Pavlovic è cuore e coraggio – e De Winter è lì, pronto, prontissimo. Saelemaekers, finalmente, è tornato a casa dopo prestiti su prestiti, e la fascia destra è sua di diritto. Estupiñán può e deve crescere, e lo sta facendo. Davanti Pulisic è la certezza, gli altri sono in continua competizione ed avranno tutti opportunità. Più di tutto, però, è l’atteggiamento che appare vincente. La fame nel recupero, la velocità d’azione e la voglia espressa dai ragazzi sono caratteristiche che non vedevamo da tempo. Non scherzo quando scrivo che vedere il Milan attuale è commovente: non ero più abituato, sinceramente. E son sicuro che merito di ciò è anche l’assenza di alcuni calciatori che destabilizzavano lo spogliatoio – fra cui un terzino francese più interessato ai capelli e ai social che al giocare bene. Ma ormai, fortunatamente, è acqua passata.
Infine i tifosi, su cui mi limito ad una semplice frase: che bella la Curva Sud al suo posto!
Nonostante la commozione, però, bisogna tenere i piedi per terra. Sussiste la tendenza all’esaltazione più totale in caso di vittoria e alla depressione più pura in caso di sconfitta. Il Milan non ha vinto lo scudetto; non ha matematicamente conquistato il quarto posto; e non ha vinto la Coppa Italia. Il Milan è in lotta, e deve continuare a farlo. Deve mantenere questo spirito, questa voglia, questa compattezza. Deve restar coerente con sé stesso per ambire ai traguardi prefissati. Rimanere umili, essere sorpresa nelle conferme.
Perché voglio continuare a commuovermi, e il Milan ha tutte le possibilità per farlo.
Luigi
Condivido tutto quanto soprascritto.